Ponderações
O texto colacionado abaixo caminha sobre um caso concreto da existência (ou
não) do dolo eventual, por omissão imprópria, no caso do sujeito que posterga
seus atos necessários ao cargo.
O debate que se expõe enfrenta o dolo eventual frente ao delito por
omissão, colocando que se exige necessariamente do sujeito que tem o dever de
agir e não age, uma representação antecipada da consequência da sua conduta
(não agir) ou, por outra forma, uma aceitação de que em razão deste omitir-se
representa o agente que uma determinada consequência (delituosa) poderá se
realizar no futuro. Além disso, observa o texto, aos julgados ou à doutrina, inexiste quem defenda que nos crimes de omissão o momento
representativo e volitivo do dolo evetual fique circunscrito somente a alguns
dos elementos do tipo penal.
Assim, analisando que nos crimes
de omissão imprópria o momento volitivo do dolo pode ser de qualquer modo atenuado, colocando - a decisão de não agir - em termos de uma inércia, um
torpor de vontade (resumida na expressão: vou pensar mais tarde, vou agir mais
tarde), discorre a análise do julgado. Merece atenção o entendimento de que se
o agente não impediu (atuar exigido) dolosamente, mesmo que não se vislumbre a
representação e vontade pelo sujeito em querer o resultado, pelo menos deve ser vislumbrado que o sujeito decidiu não tomar as medidas
devidas, ao mesmo tempo em que aceitou a possibilidade da ocorrência do evento
delituoso.
Frederico Cattani - Frederico Cattani Advocacia
Advogado, Mestre em Ciências Criminais - PUCRS, Especialista em Direito Empresarial - FSG, Professor de Direito Penal da Estácio de Sá - FIB, Membro do Instituto Brasileiro de Ciências Criminais - IBCCRIM, Coordenador do grupo de Estudos em Crimes Econômicos -
Elucubrações Penais.
In tema di dolo (eventuale) e
fattispecie omissive in materia ambientale.
Nota a Cass. pen., Sez. IV, sent.
6 ottobre 2011 (dep. 18 novembre 2011), n. 42586, Pres. Brusco, Rel. Blaiotta,
P.M. in proc. c. Zanello e altri (dolo eventuale nei reati commissivi mediante
omissione). [Tommaso Trinchera]
1.Con la sentenza discussa nella
camera di consiglio del 6 ottobre e depositata il 18 novembre 2011, che può
leggersi allegata in calce, la quarta Sezione penale della Corte di cassazione
ha avuto modo di precisare quale sia la struttura e quale l'oggetto del dolo
(eventuale) nelle fattispecie omissive e, in particolare, nei cosiddetti reati
omissivi impropri (o commissivi mediante omissione).
2. In sintesi, questi sono gli
estremi della vicenda della quale è stata investita la Corte.
Il Pubblico Ministero richiedeva,
in via cautelare, l'applicazione di una misura interdittiva (nella specie:
sospensione temporanea da pubblico ufficio) nei confronti di un dirigente e di
un funzionario dell'A.R.P.A. (Agenzia Regionale per la Protezione
dell'Ambiente) accusati di aver realizzato, in forma omissiva, la fattispecie
di reato prevista dall'art. 260
del D.lgs. n. 152/2006 (Attività organizzate per il traffico illecito di
rifiuti). Tale norma punisce, con la reclusione da uno a sei anni,
chiunque «cede, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente
ingenti quantitativi di rifiuti».
La contestazione veniva mossa al
dirigente e al funzionario della locale A.R.P.A. che - in ipotesi d'accusa -
pur essendo consapevoli dell'esistenza di rifiuti ospedalieri su sito da
bonificare, non avevano svolto alcun controllo sostanziale sulle operazioni di
rimozione e smaltimento degli stessi e, conseguentemente, non avevano impedito
che il rifiuto venisse gestito come semplice terra, in tal modo consentendo che
lo stesso venisse conferito, con codice errato, in discarica non autorizzata.
2.1. Il Tribunale del riesame
aveva, in un primo momento, confermato il provvedimento del G.I.P. con il quale
era stata rigettata la richiesta di applicazione della misura cautelare,
ritenendo che il funzionario dell'A.R.P.A., quandanche fosse stato notiziato
dell'esistenza di rifiuti interrati e avesse omesso il controllo sulle
operazioni di rimozione e bonifica, comunque non avrebbe assunto una posizione
di garanzia rilevante ex art. 40 cpv. del codice penale, perché il D.lgs. n.
152/2006 non prevede a carico di quest'ultimo uno specifico obbligo di
preoccuparsi della tipologia del rifiuto e del suo smaltimento.
L'ordinanza del Tribunale del
riesame veniva però annullata, con rinvio, dalla terza Sezione penale della
Corte di cassazione con sentenza n. 3634/2011 resa il 15 dicembre 2010 (e
depositata il 1 febbraio 2011). La Suprema Corte ha rilevato che l'A.R.P.A. è
un ente di diritto pubblico preposto all'esercizio delle funzioni e delle
attività tecniche per la vigilanza e il controllo ambientale. Sicché - afferma
la Corte - la normativa vigente individua a carico dei funzionari del predetto
organismo una posizione di garanzia idonea a fondare un'imputazione causale ai
sensi dell'art. 40 cpv. del codice penale.
2.2. Il Collegio del Tribunale
del riesame davanti al quale è stata rinviata la trattazione confermava,
tuttavia, l'originario provvedimento del G.I.P. che aveva respinto la richiesta
di applicazione della misura interdittiva; ritenendo, per un verso, che
permanessero gravi incertezze in ordine alla configurabilità del dolo che - si
osserva - avrebbe dovuto coprire tutta la complessa condotta descritta dalla
norma incriminatrice; e, per altro verso, che mancassero in concreto le
esigenze cautelari che potessero giustificare l'adozione della richiesta misura
interdittiva.
2.3. Avverso quest'ultima
decisione il Pubblico Ministero ha proposto ricorso per cassazione, in sostanza
argomentando che le peculiarità del reato omissivo contestato agli imputati avrebbero
dovuto incidere anche sull'apprezzamento dell'elemento soggettivo e,
segnatamente, sul contenuto sia rappresentativo che volitivo del dolo.
Il Tribunale - rileva il Pubblico
Ministero nel ricorso - avrebbe errato nel ritenere che il dolo richiesto per
configurare il reato di illecita gestione di rifiuti (art. 260 del T.U.
Ambiente) in forma omissiva comporti anche la consapevolezza e la volontà da
parte del soggetto agente di realizzare un traffico illecito di rifiuti.
Infatti, se all'Accusa venisse richiesto di provare il dolo dell'evento si
annullerebbe la differenza tra reato omissivo e concorso attivo nel reato
(perché se il Pubblico Ministero sospettasse la sussistenza di una volontà
agevolatrice dovrebbe contestare il concorso nel reato e non già l'omesso
impedimento dell'evento ex art. 40 cpv.).
Non solo. Richiedendo la
consapevolezza e la volontà da parte soggetto agente di realizzare un traffico
illecito di rifiuti, il Tribunale avrebbe confuso il dolo dell'evento
delittuoso con il dolo dell'omissione. Il funzionario dell'A.R.P.A. ha
l'obbligo giuridico di controllare e, se deliberatamente non esercita tale
funzione di controllo, è responsabile di ciò che accade per effetto della sua
omissione, lecito o illecito che sia, a prescindere dalla consapevolezza di ciò
che in concreto avviene. In questa prospettiva, il dolo sussisterebbe
ogniqualvolta si accerti la volontà, da parte del soggetto agente, di omettere
un controllo doveroso.
3. Con la sentenza annotata, la
quarta Sezione penale della Corte di cassazione ha rigettato il ricorso,
ritenendo immune da censure e da vizi di carattere logico-giuridico la
motivazione adottata dal Tribunale del riesame e priva di fondamento, invece,
la tesi prospettata dall'accusa.
Non può revocarsi in dubbio -
osserva la Corte - che il dolo eventuale, anche in presenza di fattispecie
omissive, richieda pur sempre la rappresentazione anticipata delle conseguenze
della condotta e, quantomeno, l'accettazione che tali conseguenze si
realizzino. Peraltro, si rileva, nessuna giurisprudenza (o dottrina) ha mai
sostenuto che nei reati omissivi il momento rappresentativo e volitivo del dolo
eventuale sia circoscritto solo ad alcuni degli elementi costitutivi del fatto
tipico (e, nello specifico, che resti escluso l'evento).
4. La soluzione accolta dalla
Suprema Corta ci sembra senz'altro condivisibile. Per quanto si sia da taluno
sostenuto, in dottrina, che nei reati omissivi impropri il momento volitivo del
dolo possa essere in qualche modo attenuato, atteggiandosi - rispetto alla
decisione di non agire - nei termini di un'inerzia, di un torpore della volontà
(sintetizzabile nell'espressione: ci penserò in seguito, agirò in seguito),
nessuno ha mai dubitato che l'evento il cui mancato impedimento si rimprovera
al soggetto debba essere rappresentato e voluto dal soggetto medesimo: quanto
meno, nel senso che il soggetto debba decidere di non compiere l'azione
doverosa, accettando al tempo stesso l'eventualità del verificarsi di
quell'evento. Tale conclusione è imposta dal dettato normativo di cui al primo
comma dell'articolo 43 c.p., dal quale si desume inequivocabilmente che il
momento rappresentativo e volitivo del dolo (anche nella forma eventuale)
abbraccia tanto la condotta (azione od omissione), che l'evento (di danno o di
pericolo) e il nesso di causalità.
Fonte: www.penalecontemporaneo.it